Diabolik
Sono passati tanti, troppi anni da quando l’Italia si poteva
fregiare di un miracolo industriale capace di far risorgere le sorti del paese.
Anni di ripresa, non solo economica, di fervide idee che avrebbero
contrassegnato i decenni a venire. E proprio sul finire di quello che viene
ricordato come “boom economico” italiano, nasceva un fumetto, destinato a fare
storia.
Il personaggio di Diabolik fece la prima comparsa nel
novembre del ’62, diventando da subito icona. Ladro ma non gentiluomo, edito da
Astorina e partorito dalla mente delle sorelle Giussani, con Diabolik prendeva
il via il genere del fumetto nero italiano. In controtendenza con il moralismo delle
pubblicazioni contemporanee, la testata proponeva gialli dal punto di vista
dell’assassino, in cui si faceva leva sul brivido e sul terrore delle vittime. Trame
mature, per adulti. Dopo essere stato posticipato di dodici mesi, a quasi sessant’anni
da quel primo numero esce una seconda, e più riuscita, trasposizione
cinematografica.
L’intera vicenda tra ispirazione dal terzo albo pubblicato, L’Arresto
di Diabolik, e dal suo successivo remake. La pellicola ci cala subito in un
tipico inseguimento della polizia di Clerville, stato fittizio in cui si
muovono i personaggi, ai danni di uomo alla guida di una Jaguar, la cui tuta
nera ne lascia scoperti solo gli occhi. Dopo che il malvivente è fuggito grazie
a ingegnosi ed elaborati trucchi, l’attenzione si sposterà su lady Eva Kant, posseditrice
di un prezioso diamante e rientrata in patria dopo essere rimasta vedova. La storia
proseguirà secondo i dettami di quella originale, in una riproposta su schermo curata
e fedele. Dall’incontro tra la futura coppia di criminali fino all’arresto e
alla battaglia di intuizioni tra il protagonista e l’ispettore Ginko – suo più
accanito rivale –, tutto verrà riproposto nell’assoluto rispetto del materiale
originale, complice anche la supervisione di Mario Gomboli, coautore del fumetto.
L’opera portata in scena da parte dei Manetti Bros., famosi
per lavori nostrani più indie, qui non lascia trapelare la propria natura. Se
proprio si vuole trovare un difetto, la regia nella prima parte sembra più
lenta, prendendosi più tempo del dovuto per fare ciò che deve, a dispetto di
una seconda più briosa, con addirittura scelte di inquadratura che paiono tavole
originali. Con un Valerio Mastandrea in parte nel ruolo di Ginko, un Luca Marinelli
molto buono nel trasmettere la freddezza e la spietatezza di Diabolik, e una
Miriam Leone più che perfetta nei panni di Eva Kant – al punto quasi di rubare la
scena agli altri protagonisti –, il film farà felici i fan, con il rischio, come
rovescio della medaglia, di non riuscire ad accaparrarne di nuovi. Non c’è nulla
di particolare che non vada in Diabolik, se non che il suo più grande
pregio finisce anche per essere il suo più grande limite: raccontare un
personaggio di tanti anni fa, in una storia scritta allora. Non è necessariamente
un difetto, ma è comprensibile come le nuove generazioni chiedano e siano
abituate ad altro. Eppure, anche loro, se avranno la pazienza, potranno farsi sedurre
dal fascino dei due protagonisti. Sì, perché Diabolik ed Eva ne hanno da vendere,
quel fascino oscuro, che attrae, come attratti sono loro l’uno dall’altra. E
forse, al di là della buona fattura del prodotto, della trama e delle ottime
musiche – La Profondità degli Abissi di Manuel Agnelli su tutte –, è
proprio il loro rapporto ciò che più rimane impresso. Alla fine che cos’è, Diabolik,
se non una splendida storia d’amore?
Bella recensione
RispondiEliminaTi ringrazio.
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